Quando Cristina Marsi è entrata nel nostro gruppo io sono subito corsa a guardare un po' i libri che aveva scritto. Tra tutti mi ha subito attirato "L'Elisir D'Amore" e "Cappuccetto Rosso". Il primo, perchè narra un'opera e io sono appassionata! Mio padre mi ci portò la prima volta quando avevo 6 anni. Come i libri, anche la musica è una parte fondamentale della mia vita. Il secondo, perchè è in dialetto! non è l'unico, poi... Questo mi piace molto, moltissimo. I dialetti sono parte di noi, una parte importante che non dobbiamo lasciar morire. Inoltre si dice che per imparare bene una lingua bisogna riuscire a capire anche i dialetti, almeno in parte. Chi sa se ci riuscirei io con il triestino (?)
Dopo aver "studiato" un po' i suoi libri, le ho chiesto di raccontarsi rispondendo a due domande. "Che libri hai amato da piccola?" e "Perché hai deciso di scrivere per bambini". Ed ecco a voi le sue risposte, senza nessuna censura, così come lei le ha scritte:
A me piacevano le raccolte di fiabe dal mondo
e popolari.
Mia mamma me le leggeva nei lunghi e caldi
pomeriggi d’estate. Quando ero piccola io non c’era la moda dei condizionatori,
così quando anche in giardino faceva troppo caldo, ci rifugiavamo nella tavernetta
che era bella fresca. Aprivamo due brandine, una a testa, come se fossimo su
una spiaggia. Mia mamma sfogliava il libro posto tra le due brandine e io mi
appisolavo nella frescura, ascoltando. In quei libri non c’erano che poche
sporadiche figure in bianco e nero, però mi piaceva tanto ascoltare, e ricordo
storie di bambine che dovevano lavare nel torrente mucchi enormi di bucato col
solo aiuto di un minuscolo pezzettino di sapone, oppure storie di padri che
tornavano da lunghi viaggi con regali preziosi per due figlie e solo un piccolo
uccellino per la terza figlia. Era un uccellino però, che diceva sempre la
verità.
Invece tra gli illustrati ricordo con piacere
un Pollicino del ’74, editato dall’allora Editoriale Libraria, ora El edizioni.
Ancora oggi lo sfoglio con un certo riguardo, sapendo quanto mi estasiava da
piccola. Le illustrazioni sono di Claude Lapointe. C’è un orco con una faccia
davvero inquietante, e personaggi di un tale realismo!
Comunque mi piaceva moltissimo anche Candy
Candy a fumetti, per dire.
In camera mia avevo illustrati anche più
commerciali come il libro della giungla o gli aristogatti della Disney, mi
vengono in mente pure i fantastici manuali delle giovani marmotte, o dei giochi
di prestigio del mago Silvan.
Il primo vero libro che ho letto per conto
mio è stato un romanzo dal titolo “La sovversiva” di cui ricordo il titolo e la
copertina che mostrava una bambina scapigliata e imbronciata. Qualcuno me lo
regalò per un compleanno, mi pare. Ma la trama non saprei più dirla, chissà? A
seguire devo aver letto “Pel di carota”, “Anna dai capelli rossi”, questi credo
siano stati i primi libri letti proprio da sola.
La maniera migliore per esprimermi è sempre
stata la scrittura. Ogni cosa che accadeva la dovevo metabolizzare attraverso
la scrittura. Scrivevo poesie per i vicini che stavano passando dei brutti
momenti, telegiornali umoristici per far ridere mia nonna, lettere agli extraterrestri
per confessare i miei sogni e le mie paure. Questa è una cosa strana, lo so.
Inutile dire che il tema in classe per me era praticamente una vacanza. Sceglievo
il tema libero e partivo, come se non mi trovassi nemmeno a scuola.
Poi ho scritto un po’ di diario, ma mi
annoiava trascrivere la realtà.
Allora scrissi dei racconti, a volte un po’
macabri, a volte sdolcinati e stralunati. Non sapevo bene in che direzione
andare. La vera svolta è stata quando ho scoperto Roald Dahl. Sì adoravo anche
Beatrix Potter, e le letture in stile “Il vento tra i salici”, tutto un altro
genere. In realtà è grazie a Dhal che mi sono appassionata alla letteratura per
ragazzi.
Poi, a 26 anni, quando avevo già masticato
parecchi libri per giovani lettori, è nato un nipotino. Per festeggiare la sua nascita,
gli scrissi una raccolta di otto storie di topolini. Ossia mi son tenuta bassa
per non strafare con trame complicate, però nello stile già traspariva una
certa sfrontatezza instillatami dalle narrazioni del grande Dahl.
Quello è stato l’avvio, poi ho continuato a
scrivere, crescendo e maturando nello stile. Secondo me si tratta di un
processo che non termina mai. Solo la morte ferma l’evoluzione di un processo
creativo. Altrimenti sarebbe infinito, continuo.
Scusate, non vorrei chiudere con questa
immagine malinconica. Mettiamola così, se è vero che rinasciamo, vuoi vedere
che certe cosucce come la passione per la scrittura o per la matematica, quel
che è, ce le portiamo dietro? In questo modo si spiegherebbe perché certi
nascono già bravissimi in certi campi, altri meno, secondo una svariata
possibilità di gradazioni, con la possibilità di maturare mentre vivono. Questo
mi sembra un finale più ottimista, anche se, forse, sono andata fuori tema.
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