Questo mese ho chiesto ai membri del gruppo di Verona di fare anche loro un resoconto. Qui potete leggere la prima parte, le mie emozioni dopo l'incontro. Oggi lascio la parola ad Olga... emozionatevi!
Ana
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"…Mi piacerebbe che qualcuno
ti insegnasse a inseguire le emozioni
come gli aquiloni fanno
con le brezze piú impreviste e spudorate;
tutte, anche quelle che sanno di dolore…"
Quante ne abbiamo rincorse di emozioni giovedì sera e non solo le abbiamo anche accolte, condivise, raccontate, espresse. Nel mio caso, da persona molto emotiva quale sono, non sono stata in grado di contenerle, ma mi sono fatta inghiottire da questo vortice che mi ha letteralmente inebriato!
I libri che ho deciso di portare sono molti, ma quello al quale non ho potuto rinunciare è uno per adulti, scritto dallo psichiatra Paolo Crepet che si intitola “Non siamo capaci di ascoltarli” , dal quale ho tratto la citazione iniziale, e nel quale viene affrontato lo spinoso tema dell’educare. Il libro contiene rabbia e indignazione per ciò che non si fa per amare i nostri bambini e i nostri adolescenti. E la convinzione che questa sia la sfida più difficile e affascinante per la nostra comunità. Tra i vari temi affrontati quello del diritto alle emozioni, e di come ciò che si apprende provandole diventi un collante per il nostro cervello. La nostra società ormai è arrivata alla sua ultima fermata. Non possiamo essere più ricchi di così, ma possiamo essere più affettivi di così. Possiamo crescere nelle emozioni, negli affetti e coltivarli.
Come ho fatto presente all'incontro i libri che ho portato questa volta sono per la maggior parte miei, e non frutto di una ricerca in biblioteca.
Sempre ricollegandomi al libro precedente, ho pensato di portare il libro “L’anatra, la morte e il tulipano” perché, citando le parole di Crepet, “il dolore non è solo vuota perdita ma affettività, acquisizione oltre che sottrazione. La morte è un testimone che i migliori di noi lasciano ad altri nella convinzione che se ne possano giovare: così nasce il ricordo, la memoria più bella che è storia della nostra stessa identità.” In questo libro, illustrato con sofisticatezza, sobrietà ed estrema eleganza da Wolf Erlbruch, la morte viene rappresentata come un’amica, pronta a starci accanto e ad essere la nostra confidente: e anche se non potrà dare risposte certe alle inquietudini insite nel nostro animo, sarà pronta ad accompagnarci mano nella mano nel lungo viaggio verso l’ignoto aldilà.
Alcune di noi hanno dimostrato un certo scetticismo nei confronti di questo libro, perché troppo diretto e forte per parlare ai bambini; ma la morte è un’emozione forte, fortissima ed è soprattutto un’esperienza straordinaria alla quale neanche un bambino va sottratto. Solo conoscendola si è spinti a porsi delle domande e a cercare delle risposte, per dare un senso alla vita che rimane, proprio come fa l’anatra che:
- alla domanda sul perché si deve morire si sente rispondere “All'incidente ci pensa la vita, come anche al raffreddore, e a tutte le altre cose che possono capitare a voi anatre: siccome si vive si muore, la morte è parte stessa della vita." Di una inaudita semplicità, e proprio per questo inaccettabile per gli umani
- impara a convivere con il pensiero della morte, della quale, dopo un primo terrore inziale, scopre i lati gentili e dolci
- si domanda come sarà il suo mondo quando lei non ci sarà più: lo stagno resterà solo senza di lei.
- viene trattata con estrema pietà dalla morte, la quale prende tra le braccia l’animale e lo adagia nel grande fiume, con un tulipano sul petto.
Questo è un albo per bambini certamente difficile da proporre e raccontare. Questo è un libro per adulti, altrettanto difficile da affrontare. La morte è seria, anche nel suo buffo impermeabile a quadri, e con serietà ci induce a comprendere la finitezza della vita; il suo essere ciclica, difficoltosa, bellissima.
E dopo questo, non potevo che pensare ad un inno alla vita, con “La prima volta che sono nata” di Vincent Cuvellier e Charles Dutertre, che arriva dritto alle corde dell’emozione, suscitando in noi un’infinita tenerezza e simpatia per la protagonista che ci permette di compiere il viaggio della vita, in un susseguirsi di prime volte che raccontano un percorso di crescita, di scelte, di costruzione. Ogni tappa un’emozione - innescata da una nuova esperienza - che cresce man mano che il tempo passa e che viene vissuta con la spontaneità della fanciullezza, la trepidazione e la curiosità dell’adolescenza e con la consapevolezza della genitorialità. Tante pagine, tante prime volte, alcune ovvie, altre poetiche, altre buffe, alcune disarmanti, altre divertenti… Fino alla prima volta più magica: la prima volta che si è data la Vita ad un altro essere, ovvero la seconda volta che si nasce.
E cosa c’è di meglio di un abbraccio per smuovere un emozione? Ecco allora “Abbracci” di Jimmy Liao che dedica il suo ultimo albo a questo semplice gesto che ha la grande forza di smuovere quel groviglio di emozioni che sentiamo nello stomaco. Un atto di fiducia, quasi di arresa all’affettività da parte di un leone, simbolo per eccellenza dell’austerità, che si lascia andare alle emozioni liberandosi del suo stereotipo per mostrare la sua fragilità. Una sorta di catarsi, di percorso di accesso alla memoria, che porta il leone a rielaborare il trauma subito a causa di un abbandono; abbandono da parte di un bambino con cui viveva e che amava. E’ proprio attraverso il libro, una sorta di catalogo degli abbracci, avuto in regalo dallo stesso bambino, che il leone scopre l’importanza del diritto alle emozioni: emozioni che si manifestano in una lunga serie di abbracci, la maggior parte dei quali tra un bambino e un animale quasi a voler dimostrare che tutti gli essere viventi, seppure nella loro diversità, sono dotati di quella ricchezza interiore che è l’affettività.
Sempre sul tema dell’affezione e sempre sul rapporto uomo animale gioca “Matilde e orso” di Jan Ormerod e Freya Blackwood. Protagonista è l’infanzia, rappresentata dal personaggio di Matilde che con la sua spregiudicatezza, la sua intraprendenza, la sua grinta incarna esattamente il delirio di onnipotenza e l’egocentrismo che invade ogni bambino durante il suo percorso di crescita. Dall'altro lato c’è Orso, simbolo della genitorialità: lui “grande”, paziente, accogliente, premuroso, affettuoso e comprensivo viene messo alla prova in una serie di episodi che raccontano del quotidiano infantile mettendo a fuoco le tipiche preoccupazioni dei “piccoli” come l’ansia della separazione, gli eccessi di collera e il bisogno di ascolto. Ogni giorno una sfida, un esercizio, una prova utile e necessaria per poter affrontare da adulti la vita vera. E ciò che ne esce è una lezione di educazione, basata sull'amore, che trasforma ogni momento di intemperanza di Matilde in un momento di gioia, di confronto e di grande capacità di “ascolto”. E qui non posso far altro che ripensare al titolo del libro di Crepet (non siamo capaci di “ascoltarli”). Attenzione a non confondere la disponibilità apparentemente inesauribile di orso con l’accondiscendenza e il vizio: io la intenderei invece come la capacità di un genitore di assecondare i desideri e gli entusiasmi di un figlio, volta alla costruzione di certezze e sicurezze a dimostrazione del fatto che su di lui potrà sempre contare.
Per un bambino infatti avere punti di riferimento è fondamentale, e la paura dell’abbandono è spesso ricorrente. E’ proprio così che si sente SENTIMENTO, il protagonista dell’omonimo albo di Norac e illustrato dalla Dautremer, una marionetta realizzata da un abile burattinaio – il Signor Stein - per colmare la sua solitudine. Il burattino, non ancora completato, si anima ma viene subito rifiutato dal suo ideatore, provando un forte senso di inadeguatezza. Il protagonista parte così alla ricerca della sua identità, mossa dall'anelito profondo con cui era stata creata: il bisogno di amare e di essere riamata. Si trova un nome (e che nome!) e armato di questo si butta nel circo della vita senza trovare alcun consenso negli altri, dai quali si sente nuovamente rifiutato. Non gli resta che fuggire nuovamente e finalmente trova la speranza, incarnata nel volto di Selma, una bambina che lo accoglie con profonda comprensione perché anche lei, come Sentimento, si sente speciale: lei sa muovere e far danzare sulla punta del proprio bastone l’aurora boreale e grazie alla sua familiarità con quei colori creati dal sole che filtra l’atmosfera, riesce come un raggio di sole a insinuarsi nella freddezza che avvolge il mondo. Questo assaggio di bontà dà fiducia alla marionetta nel riaffrontare gli altri, nei quali ricercare lo sguardo di comprensione trovato in Selma. Ma non tutti sanno avere quegli occhi, non riescono ad andare oltre le apparenze e così a Sentimento non resta che la morte. Un albo che, complici le “inquietanti” illustrazioni della Dautremer, analizza la vastità dell’animo umano spaziando dalla rigidità del signor Stein alla morbidezza di Selma, all’ansia e alla disperazione di Sentimento.
Non mi dilungo oltre e mi limito a segnalare anche questi altri albi:
Pinguino e pigna, storia di una profonda amicizia che illustra la capacità di donarsi all'altro nel rispetto della sua libertà (“quando dai amore, l’amore cresce!”)
No di Claudia Rueda, per riflettere sul nostro ruolo di mamme, una piccola storia dove la mamma non urla, non impone, non vieta, non forza. Semplicemente dalla tana osserva e aspetta. Perché il lato migliore dell’indipendenza è sapere che puoi andare nel mondo, fare, riuscire, sbagliare e tornare a riposare un attimo in una tana dove non ti si giudica.
“Oh oh” di Chris Haughton per capire che “noi non valutiamo mai la realtà della nostra condizione fino al momento in cui ci viene illustrata da una congiuntura diametralmente opposta, né sappiamo valutare i beni di cui godiamo fino a quando ci vengono a mancare.”
In cerca del vento, un incitamento all’autonomia e alla forza di credere in se stessi
Olga
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